La mia riflessione prende spunto da un interessante post pubblicato da Serena di Genitoricrecono, che si intitola dalla parte dei bambini (Maschi).
Quel post ha fatto da cassa di risonanza per una serie di riflessioni che mi rimbalzavano in testa da un po’, un sentimento dissonante verso un atteggiamento diffuso (con le dovute eccezioni) verso i bambini (maschi), con cui come mamma di due figli maschi mi scontro pressoché quotidianamente.
Attenzione: con questo non voglio dire che il problema della discriminazione femminile sia cosa superata, non lo penso e credo fermamente che sia un terreno su cui continuare a lavorare e costruire, ma che in genere nemmeno si fa caso a quando a essere discriminati sono i maschi, obbligati a aderire a modelli e regole comportamentali non scritte, che oltretutto nella società contemporanea non trovano più posto. Oltretutto credo che crescere i bambini secondo leggi e connotazioni preconfezionate, farà di loro maschi meno attenti ai diritti delle donne, da un lato, e con difficoltà a rapportarsi a donne emancipate e a ricostruirsi un ruolo all’interno a una società che cambia volto, nonostante tutto (e per fortuna).
Se ci pensate il problema della discriminazione declinata al maschile non viene nemmeno preso in considerazione, e mentre ormai è convinzione più o meno assodata che le femmine possano studiare e possano esercitare le stesse professioni una volta riservate solo ai maschi, che se vogliono possono giocare a calcio senza problemi, lo stesso assunto ribaltato non viene nemmeno considerato, o quantomeno viene guardato con sospetto.
Se le femmine possono vestirsi da maschi, il contrario non è accettato. Se le femmine possono fare i maschiacci, è inconcepibile che un maschio faccia la “femminuccia” (e vi inviterei a riflettere sull’uso dei termini, già indicativo di per sé), che giochi con cucine e bambole, o ami il rosa. Se la cosa è accettabile quando i bimbi sono piccolissimi, già dall’età della scuola dell’infanzia simili atteggiamenti e preferenze verranno stigmatizzate.
E ancora: l’educazione. Se i maschi sono sboccati, aggressivi, maleducati, spesso la cosa viene accettata e liquidata con un: “ma sì, son maschi!”. Spesso mi trovo davanti a bambini di due o tre anni che si urlano addosso insulti davanti agli sguardi indifferenti di tate e nonni (e genitori).
Le femmine “maschiaccio” a volte son guardate con quel pizzico di finta disperazione (guardala, è un maschiaccio!), che cela in realtà orgoglio. Giustamente eh, ma la verità è che dovremmo essere orgogliosi a prescindere, di bambini sereni che possano esprimere liberamente la loro personalità e crescere senza condizionamenti (che non significa lasciarli senza guida o regole) che possano tarpare loro le ali o influenzarli in maniera indelebile.
Trovo poi che questa cosa delle differenze di genere sia più accentuata oggi che ad esempio due-tre decenni fa, quando freschi di contestazioni e femminismo, si trovavano nuove vie più sperimentali e aperte di crescere i bambini. Non sto dicendo che non esistono differenze di genere, negarle sarebbe assurdo e sciocco; né che i maschi che giocano solo con robot, armi e macchinine saranno adulti problematici o maschilisti, né tantomeno che dobbiamo obbligarli a fare giochi più “femminili” (anche perché per me il punto rimane proprio questo: ma perché i giochi devono essere maschili o femminili? I giochi sono giochi e basta), ma che dobbiamo rispettare le loro reali inclinazioni e desideri, dando loro la possibilità di sperimentarsi liberamente da piccoli, proprio quando l’identità di genere è meno definita, al posto di spingerli a usare giochi che riteniamo adatti a loro solo in quanto "da maschi".
Credo semplicemente che il dono più grande che possiamo fare ai nostri figli sia la libertà e la capacità di decidere per sé stessi, senza condizionamenti preimpostati.